IN PUNTA DI LIBRO……di Domenico Pisana. “L’oltre” della parola e la “verità della coscienza” nella raccolta poetica “Senza il mio nome” di Adriano Gloria Marigo

adriana-gloria-marigo

Foto copertina libro Senza il mio nomeE’ una silloge poetica davvero ricca di analogie, dove la parola si “vela” e si “svela” con una geometria di immagini e di atmosfere mitiche, quella che Adriana Gloria Marigo ci offre nella sua ultima fatica letteraria dal titolo “Senza il mio nome”, Camponotto Editore, 2015.

L’Autrice, che ha già alle spalle altre opere poetiche e un percorso culturale molto fecondo, tant’è che dal 2012 è stata presente negli eventi letterari “Flussi di Versi” (Festival della poesia mitteleuropea che la Regione Veneto organizza annualmente a Caorle), “Poeti al Castello” (anno 2013, Trento), “Il soggiorno dei poeti” (2013, primo Festival di Arta Terme Poesia), “La Fiera delle Parole” (Padova, 2013), “Libri in cantina” (Susegana, 2013), in questa raccolta essenzializza la sua ispirazione in una articolazione poetica dal piglio filosofico-cosmogonico e di non facile approccio, dove il contrasto tra i lemmi utilizzati diventano “luoghi semantici” di una policromia di sentimenti capaci di stabilire un circuito comunicazionale con il lettore che viene avvolto in un alone di mistero. Quest’ultimo, insomma, viene quasi introdotto in una genesi primordiale dove cielo e terra, luce e ombra, stelle, buio e notte riproducono uno status esistenziale che non appartiene solo alla dimensione più intima della poetessa, ma si estende nell’animo di ogni uomo che sa riconoscersi nelle proprie radici trascendenti.
E’ sintomatico che lungo le tre sezioni nelle quali è suddivisa la raccolta, la parola “luce” appaia ben 14 volte, contrapponendosi ad “ombra”(6 volte) e a “notte”(4 volte) e “buio” ( 2 volte).
Perché questa insistenza della poetessa sulla luce? E che cosa è questa luce cui fa sempre riferimento? Si tratta, probabilmente, di una ricostruzione metaforica del bisogno di attraversare il tempo della notte senza lasciarsi contaminare “dal tormento dei mostri”, dal “terrore del buio”, dalle tenebre e dalla menzogna che s’annidano come angeli nella nostra coscienza ed essenza vitale più profonda.
Questo anelito della Marigo ad “infeudarsi di luce” altro non è che la risposta alle trappole in cui spesso inciampa la vita, ove le voci di Cassandre risuonano come oracoli, l’inganno si fa strada e la “doppiezza delle parole” si leva “in vaticinio nel tempo”.
In “Senza il mio nome”, dunque, Adriana Gloria Marigo apre uno scenario cosmogonico dove il mito diventa non dispersione nei fondali di una fantasia irreale, ma interpretazione del mistero della vita che si interroga sulla sua genesi e sul suo destino.
L’approccio ai versi di questo libro non può che partire da un epistemologia della parola poetica, che non è mero uso della lingua, ma creazione ontologica, afflato che coglie la realtà nella sua nudità per aprire un orizzonte metafisico nel quale ciò a cui l’anima poetica aspira non è il conoscibile ma l’Autore del conoscibile.
Ogni parola in questo testo di Adriana Gloria Marigo è sempre relazionata ad un pensiero complesso ed inafferrabile; i suoi versi nominano l’Innominabile senza necessità di fare ricorso ad un orizzonte diegetico, perché – come riteneva Platone – il linguaggio è “strumentale”: esso è uno strumento per poter comunicare tra gli uomini quanto questi conoscono e quanto esiste.
Nei versi dell’Autrice la parola poetica è usata per designare, significare una cosa. Il “nome” diventa necessario a esprimere ciò che significa. Nella mente di tutti gli uomini, certo, sono presenti, concetti come “luce”, “notte”, “buio”, “ombra”, “stella” “sole”; tuttavia, a questi concetti si possono dare anche nomi diversi; il sole ad esempio, lo possiamo chiamare soleil, sun, sol, elios, è questione di capirsi, ma è altresì certo che tutte queste parole significano una sola cosa: quell’astro che splende.
“Viene il nome a scolpirmi sempre”, “Tutto il tempo affinare il nome”, “essente il nome” dice la poetessa! Questi richiami al nome mi fanno pensare al testo biblico di Genesi dove Dio sollecita l’uomo perché dia nome agli animali e più in generale alle cose: l’uomo venendo a conoscenza delle cose, dà loro un nome; nella tradizione biblica il nome esprime infatti l’essenza, la natura stessa della cosa designata. Dio stesso chiama “per nome”.
In questa raccolta di Adriana Gloria Marigo la realtà che diviene oggetto poetico è, all’apparenza, “senza nome” perché ogni parola utilizzata dalla poetessa non vuole attirare l’attenzione su di sé ma sul Principio primordiale che ha dato nome alle cose; se è vero infatti che è l’uomo, nella sua mente, a dare un nome, un senso, una determinazione a tutte quelle cose che senza di lui non avrebbero significato, è altresì vero che il suo ruolo non è quello di creare le cose ma di significarle.
“Gli uomini percorrono accanto agli dei” – afferma la poetessa – , quasi a dire che il percorso della vita umana non sta “sopra” né “sotto” ma “accanto” ad una Mente ordinatrice senza la quale niente esisterebbe di ciò che esiste. Da qui l’invocazione della Marigo: “O luce../ incoronaci nel tempio del tempio” , quasi a simboleggiare il bisogno universale dell’uomo di lasciarsi illuminare da una Luce infinita per entrare nel Kosmos con la consapevolezza che a lui è stato affidato il compito non di creare le cose, ma di significarle con un nome. Del resto quando utilizziamo la parola mondo, spesso diciamo “cosmo- kosmos”, che vuol dire “ordine” e che ha una radice nel termine kens, una parola indoeuropea primitiva, da cui viene “censire, dichiarare, ordinare con autorità”. Scorrendo le poesie di questa raccolta, l’impressione che se ne ricava è che per la poetessa c’è un “Ordine primordiale” che ha dato nome alle cose, nel senso che le ha portate all’esistenza e alle quali l’uomo ha poi dato un nome, nel senso che le ha dato un significato.
L’autrice offre ai suoi lettori una chiave per entrare nel suo cosmo, quasi a piedi nudi, per aiutarli a mettersi in sintonia con Colui che è all’origine delle cose e che ha dato all’uomo il compito di distinguerle per nome; diversamente le stesse cose non avrebbero potuto esprimere il loro significato. Il vasto mondo delle cosmogonie, dei miti, dei misteri, dei personaggi del mondo classico e dei luoghi riluce dunque un questa silloge poetica con grande forza simbolica, se è vero che lungo la versificazione compaiono Eleusi, Delfi, Ifigenia, Cassandra, la Pizia, il Partenone, Persefone. Quest’ultima, che appare nella poesia che chiude il volume, secondo il mito avrebbe trascorso sei mesi con il marito negli inferi e sei mesi con la madre sulla terra. Quando la poetessa afferma che “vivere ti è consentito/ senza il mio nome”, allude forse al fatto che ogni uomo vive una situazione che oscilla, come nel mito di Persefone , tra “suolo e sottosuolo”, “sopra e sotto”, “luce e buio”, e potremmo aggiungere tra “nome” e “senza nome” , binomi che costituiscono la cifra simbolica di questa raccolta.
Adriana Gloria Marigo riprendendo e ricreando antichi miti, li riveste di contenuto, di modi propri di espressione, di allegorie, di simboli e di metafore, superando la concezione del mito come genere letterario antistorico e frutto esclusivo della fantasia, e costruendo, invece, una sua dichiarazione di poetica nella quale si serve del mito inteso come “facoltà d’intuizione – direbbe Henninger – che ha le sue radici negli strati più profondi dell’anima, una facoltà di afferrare intuitivamente le realtà invisibili, anzi trascendenti”.
E in questa luce, allora, possiamo anche affermare che c’è nei versi di Adriana Gloria Marigo – come affermerebbe Tillich – il mito come “realtà”, come “verità dell’interpretazione metafisica”, come parabola del ritorno alla verità della coscienza.

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su email
Email
Condividi su print
Stampa