L’OSSERVAZIONE DAL BASSO… di DIRETTORE. Giubileo e dieci comandamenti: Non nominare il nome di Dio invano /2

PISANA

Il nostro viaggio intorno al Giubileo e i 10 comandamenti punta ora l’attenzione sul secondo comandamento: Non nominare il nome di Dio invano.
Comunemente, secondo una lunga tradizione educativa, questo comando divino è stato quasi esclusivamente interpretato come un invito a non bestemmiare;

la bestemmia infatti è una offesa a Dio, uno svilimento della sua immagine nella società.
Andando, però, un po’ più in profondità, occorre invece cercare di determinare cosa significa “invano”, entrando all’interno del contesto esperienziale della società israelitica. Qui, infatti, il nome di Dio veniva pronunciato soprattutto nei giuramenti, in propiziazioni quasi di natura magica, per scopi perfino malvagi: insomma si faceva appello Dio anche per azioni e comportamenti che nulla avevano a che fare con la sua Persona. Alla luce di questa precisazione, il comandamento va recepito in modo molto ampio, nel senso che il divieto non riguarda solo la bestemmia, ma i giuramenti inutili, falsi e vuoti cui l’uomo ricorre per giustificare se stesso e le sue azioni, fino ad uccidere in nome di Dio.
E’ bene allora chiedersi:nella nostra società multietnica, interreligiosa, multiculturale che uso si fa del nome di Dio? Che uso ne fanno i cristiani? Se non è questione solo di bestemmia, che potrebbe indurre molti a ritenersi tranquilli in coscienza, non capita di assistere ad un abuso da parte di tanti, credenti e non, del nome di Dio nella vita quotidiana per giustificare i propri interessi, le proprie azioni e perfino i propri progetti religiosi anche all’interno della chiesa stessa? Credo siano domande da non eludere, altrimenti si rischia di pensare, rispetto a questo secondo comandamento, di non avere nulla da rimproverarsi, salvo poi assistere ad accadimenti tipo quelli oggi che il passato ci ha consegnato e nei quali c’è stato un abuso del nome di Dio.
Se nel passato, ad esempio, Urbano II poteva benedire un esercito di crociati consegnando il vessillo con la scritta “Dio lo vuole”, o se le SS naziste sui loro cinturoni potevano portare scritto “Gott mit uns”, cioè “Dio è con noi”, oggi può anche accadere, come di fatto è accaduto, che un mafioso come Totò Riina utilizzi Dio e la Bibbia con i “pizzini” dentro per dire ai suoi uomini “Dio vi benedica”.
Nel nostro tempo, poi, capita spesso di usare il nome di Dio invano; a volte viene strumentalizzato per trovate pubblicitarie, altre volte utilizzato per scopi politici; perfino molti cristiani del nostro tempo, anche praticanti e abbastanza religiosi, mescolano il nome di Dio con forme di magia, di parapiscologia, di superstizioni e di spiritismo, con teosofie, esoterismi ed oroscopi. Tutto questo non è altro che un nominare invano il nome di Dio, non è che un avvilimento dell’immagine di Dio in noi.
Chi bestemmia, chi fa giuramenti inutili, falsi e vuoti in nome di Dio non fa altro che ricondurre Dio alla misura ridicola dell’uomo; e difatti è proprio l’uomo a cadere nel ridicolo, perché Dio non si lascia circoscrivere da alcuna parola e azione umana; la bestemmia non è un problema per Dio ma per l’uomo; “chi bestemmia – direbbe René Laurentin – non degrada lui. Degrada se stesso”. Il credente di oggi ha dunque una forte responsabilità morale in relazione al Dio di Gesù Cristo al quale dice di credere e che afferma di seguire; egli non deve né può “ appropriarsi del nome di Dio” ma deve “vivere in Dio”, deve lasciare che sia Dio a vivere in lui; in tal modo non correrà il rischio di cadere in falsi nominalismi né abbraccerà “guerre sante” in suo nome.
Se Dio è il Signore della vita dell’ uomo, quest’ultimo non ha bisogno di ricorrere a piè sospinto al suo nome, né di invocarlo “ovunque e comunque e anche a sproposito” perché dalla sua vita trasparirà in modo chiaro che è legato, per usare le parole di Gesù, alla vite: e chi è legato alla vite in modo vero ed autentico non può che portare frutto.

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