Da Modica un simbolo di legalità grazie alla marcia degli studenti

marcia della legalità

“La cosa più bella, in questa triste data per la Sicilia e l’Italia intera, è stata vedere quasi mille studenti che hanno ribadito il loro fermo “No” ad ogni forma di mafia e illegalità”. Con queste parole il Sindaco di Modica, Ignazio Abbate, è intervenuto durante la “Marcia della Legalità”, organizzata da quattro istituti scolastici modicani con la partecipazione delle più alte cariche cittadine delle Forze dell’Ordine e di alcuni componenti del Consiglio Comunale.

Un lungo serpentone ha attraversato Corso Umberto da Piazza Monumento per rendere omaggio alla lapide di Piazza Innocenzo Pluchino, dove sono incisi i nomi di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Schifani, Di Cillo e Montinaro. Quindi un sentito convegno presso la Chiesa di S.Pietro: “A 24 anni di distanza da quel maledetto giorno il loro esempio è più vivo che mai anche nelle nuove generazioni. L’ho potuto constatare questa mattina partecipando alla manifestazione. Tutti i bambini sapevano chi era Falcone, tutti conoscevano la storia di quel 23 maggio 1992, nonostante in quella data fossero ben lontani dal nascere. In qualità di primo cittadino, ho ribadito loro che la cultura della legalità si impartisce già da piccolissimi. Il bullismo secondo me è la prima forma di mafia. Combattere il bullismo significa combattere la mafia nel suo stadio embrionale. Se gli insegnanti, i genitori e le istituzioni collaborano allora cambiare veramente questa società è possibile”. Il Sindaco si è soffermato anche sull’antimafia vera e quella di facciata, che ultimamente è purtroppo venuta fuori con lo scandalo che ha coinvolto il giornalista Pino Maniaci: “ I veri eroi, ho detto ai ragazzi, non sono quelli che si lustrano la medaglia della legalità ben in vista sul petto. I veri eroi sono quelli che lavorano in silenzio per il bene di tutta la comunità, quelli che sacrificano la loro vita per gli altri e non hanno nessun riconoscimento se non la consapevolezza di aver lottato contro un male comune”.

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