IN PUNTA DI LIBRO……di Domenico Pisana. “Giovanni Meli. La vita e le opere”: il saggio critico di Marco Scalabrino sulla figura del poeta palermitano

Marco Scalabrino

meliLa saggistica siciliana ha dato spazio, in occasione del bicentenario della scomparsa del poeta Giovanni Meli, celebrato nel dicembre del 2015, alla pubblicazione di un interessante volume sull’Autore palermitano, dal titolo “Giovanni Meli. La vita e le opere”.
L’iniziativa editoriale è dell’Editrice Drepanum di Trapani, diretta da Nino Barone, il quale ha affidato al poeta e critico letterario Marco Scalabrino il compito di operare una ricerca accurata sulle opere, le testimonianze, gli scritti e le biografie del Meli per disegnarne le coordinate storico-critiche più rilevanti e problematiche.

E così Scalabrino rende omaggio ad una delle voci più significative della poesia siciliana, qual è appunto il Meli(1740-1815), avendo il merito di mettere in sinergia gli aspetti più controversi della figura di un poeta che attraverso le sue opere, delle quali vengono presi in esame “Fata Galanti”, “L’Origini di lu munnu”, “Don Chisciotti e Sanciu Panza”, “Favuli murali”, si colloca ora sul versante dell’Arcadia  ora su quello dell’illuminismo, ora si presenta come “poeta del popolo” ora come “abate” e moralizzatore.
La scrupolosità ermeneutica di Scalabrino offre al lettore l’immagine di una personalità che s’impone nel panorama culturale isolano con la fondazione di una Accademia Siciliana insieme a letterati ed intellettuali del calibro di Giovanni Alcozer, Paolo Di Blasi, Ignazio Scimonelli, con i quali si prefigge non solo di salvaguardare il dialetto e la lingua siciliana, ma anche di “stimolare l’orgoglio delle memorie, la cooperazione civile al bene, la difesa dell’indipendenza nazionale siciliana”.
Il libro di Scalabrino ci attesta come l’impianto tematico del poetare di Giovanni Meli fosse ricco di contaminazioni ispirative, atteso che il poeta palermitano si cimentava – come documenta anche Alessio Di Giovanni- , ora in testi poetici dal piglio pastorale e anacreontico, ora in testi che si dispiegavano come canto delle sue pene d’amore, ora in testi poematici come “L’Origini di lu munnu” , la cui struttura, in 79 ottave, si sviluppava in una prosodia filosofica fortemente ancorata a richiami mitici e cosmogonici.
L’esegesi critica di Marco Scalabrino non manca di soffermarsi anche sulle satire e gli epigrammi di Giovanni Meli, ove il poeta stigmatizza tutta la dimensione negativa che caratterizza l’esistenza umana e che trova la sua espressione in una molteplicità di vizi: il tradimento, l’odio, la gelosia, l’invidia, la guerra, l’ambizione, la vendetta, l’avarizia.
La disamina di Scalabrino è arricchita da ampi riferimenti testuali che appaiono davvero illuminanti rispetto all’orchestrazione della ricostruzione dell’opera del Meli; anche l’apparato critico-bibliografico di cui il curatore si avvale, è puntuale e riesce ad amplificare le sue tesi argomentative, nonché a delineare il sentimento di ostilità del Meli verso la rivoluzione francese e per quella ingiustizia ed ipocrisia che ebbe modo di constatare allorquando nel 1779 vide che “gli sbirri si portavano via bruscamente don Gioacchino La Torre, con l’accusa di aver sottratto quattrocento onze alla cassa della banca municipale”. In quella circostanza Meli scrisse “Lu codici marinu”, “una fine satira, – afferma Scalabrino – , in argutissime sestine, con cui il Meli si piglia allegra vendetta delle storture e delle manchevolezze del vecchio codice siciliano, schizzando anche una esilarante caricatura dei giudici che, dopo essersi lasciati sfuggire, con sorniona indolenza, i rei maggiori, ricchi e potenti, avevano fatto un così pomposo e ridicolo sfoggio d’ipocrita severità, prendendosela con i minori colpevoli, i quali avevano pagato per tutti, rimanendo con il danno e con le beffe”.
Il percorso ricostruito da Marco Scalabrino ci offre dunque la complessa personalità del Meli collocata nel suo tempo, personalità che risente di tutte le influenze e i condizionamenti derivanti dalla cultura del ‘700 e dell’800 europeo. Giovanni Meli “è via via – si legge nel volume – arcade e verista, amante e odiatore delle donne, legittimista e ribelle, ligio del passato e speranzoso d’un migliore avvenire; rispecchia insomma, nei vari atteggiamenti del suo pensiero, il secolo proteiforme in cui visse”.
Insomma un poeta che andò oltre l’Arcadia, allineandosi anche su posizioni ancorate al pensiero di Voltaire, Montesquieu e Rousseau e collocandosi al confine tra vecchio e nuovo , “tra una rielaborazione originale arcadica e le nuove istanze della stagione illuministica”.
Nella seconda parte del volume Scalabrino si sofferma sulla fortuna americana di Giovanni Meli ed apre un ventaglio antologico che mette i lettori a contatto con una versificazione davvero forte e di rilevante impatto emotivo, ove si coglie la forza di immagini rapportate a particolari fisiognomici (la vucca, lu labbru, l’occhi, lu neu, lu pettu,) nonché ad animali (lu surci, li babbaluci, lu ragnu, li lupi, li tigri) con il ricorso ai quali il Meli lancia messaggi di forte intensità semantica.
Il testo di Scalabrino è altresì arricchito da un repertorio fotografico che documenta le copertina di alcune delle principali opere di Giovanni Meli e che riporta alcune foto del poeta.
Il pregio di questo volume sta sicuramente nella restituzione alla memoria collettiva siciliana della figura di un uomo, di un intellettuale e di un poeta con una personalità vivace, battagliera e irruente; una personalità di respiro culturale che amava fare suo quanto scriveva Seneca al suo amico Lucilio(Epist., 75, 4). : “quod sentimus loquamur, quod loquimur sentiamus, ossia ciò che pensiamo e sentiamo diciamolo, e ciò che diciamo, pensiamolo”, tant’è che il Meli – come ci attesta il saggio di Scalabrino – “non risparmiava nessuno: né nobili, né legislatori, né preti, né potenti, né governanti….Egli sta dalla parte dei poveri e degli oppressi e non si astiene dal denunciare la verità: stigmatizza l’ipocrisia, l’ingratitudine, l’ambizione, la testardaggine, la stupidità, l’intolleranza, l’egoismo, l’avidità e la codardia”.
Un poeta insomma, Giovanni Meli, che stava dentro la storia del suo tempo con una voce indignata, come un profeta che sapeva leggere i costumi, i modi di fare e di essere della società del suo tempo e che trovava nel verso il modo non per fare gretto moralismo ma per invitare ad uscire dalla conservazione e avviarsi verso il cambiamento.
Il volume di Scalabrino costituisce un prezioso contributo critico alla rilettura di un poeta che fu “la perfetta incarnazione delle dicotomie che scossero gli intellettuali siciliani della seconda metà del diciottesimo secolo e l’inizio del diciannovesimo secolo”.
La struttura del testo è attraversata da giudizi, scritture e documenti che si intrecciano e si confrontano fra di loro, fornendo un quadro, significativo e quanto più organico possibile, sulle problematiche formali, linguistiche e contenutistiche delle opere meliane.
La saggistica siciliana trova sicuramente in questo testo di Scalabrino un apprezzabile punto di sintesi critica per la comprensione di un Autore che ha lasciato un grande segno nella storia della poesia siciliana ed europea.

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