Bela Kuhn e i suoi seguaci…di Saverio Terranova

saverio terranova

Accadde in Ungheria nel 1919, dopo la grande guerra. Con il crollo e la disgregazione dell’impero austroungarico, in Ungheria si cercava un nuovo e diverso equilibrio politico che sostituisse il potente centralismo asburgico, sconfitto sul campo e frantumato nelle sue componenti nazionali. Ovviamente non era facile. Proclamata la repubblica, qualunque forza politica
aspirava legittimamente alla guida del governo. Ma in Europa ormai c’era un convitato di pietra: la rivoluzione comunista di Lenin, consolidata fortemente nella Russia bolscevica.

Le classi operaie guardavano ad essa con la speranza di un nuovo ordine interno e internazionale. Questo un po’ dovunque. Ma erano molti i movimenti che, pur lottando per il miglioramento delle condizioni di vita delle classi operaie non accettavano un sistema di organizzazione dello Stato fondato sulla proprietà statale dei beni di produzione. Si pensi anche solo alle terre cui i contadini sono stati per secoli legati da aspirazioni e tentativi di conquista. Per questo in Ungheria la maggioranza del Parlamento era costituita da socialdemocratici. Ma la condizione economica del paese era disastrosa. L’inflazione inarrestabile, la mancanza di alloggi, la disoccupazione di massa, la mancanza di cibo e di carbone indebolirono ulteriormente l’economia e stimolarono proteste popolari. Nell’ottobre 1918, la cosiddetta “Rivoluzione Aster” diede luogo a un’instabile coalizione democratica di governo. A questo punto apparve sulla scena politica, prepotentemente, Bela Kun. Era diventato comunista dopo la sua permanenza in Russia, prigioniero di guerra. Inviato in Ungheria da Lenin, aveva fondato un partito socialista d’accordo con i socialdemocratici. Ma giunto il momento giusto, Kun fondò il Partito Comunista Ungherese e immediatamente iniziò una campagna di propaganda molto attiva contro il governo: lui e i suoi seguaci ingaggiarono forti attacchi contro il Presidente, Conte Mihály Károlyi e i suoi alleati Socialdemocratici. Oratore efficace, i discorsi di Kun avevano un considerevole impatto sugli ascoltatori: diceva quello che la gente sentiva. Inoltre i comunisti organizzavano frequenti marce e scioperi. Desiderando tentare una rivoluzione comunista, che, mancando il supporto delle masse, poteva solo essere un colpo di Stato, Kun si diede alla propaganda e accumulò un seguito considerevole, mentre i socialdemocratici, che erano il più grande partito d’Ungheria, continuassero a sottostimare i comunisti. Le condizioni economiche dell’Ungheria peggioravano ogni giorno, e Bela Kun aveva buon gioco a denunciare i mali della nazione e attaccare il governo. I Socialdemocratici cercarono di convincere Kun a formare una coalizione di governo. Kun accettò, ma pretese l’unione dei partiti Socialdemocratico e Comunista, la proclamazione di una Repubblica Sovietica e diversi altri provvedimenti radicali. Il 21 marzo 1919 fu annunciata la creazione della Repubblica, e Béla Kun assunse il suo incarico. I Socialdemocratici continuarono a detenere la maggioranza dei seggi nel governo. Con l’eccezione di Kun, ogni Commissario era un ex-Socialdemocratico e ogni Commissario Deputato era un ex-Comunista. Il 21 marzo 1919 Kun e il Partito Comunista fecero la loro mossa, stabilendo la Repubblica sovietica ungherese, il secondo governo comunista in Europa dopo la stessa Russia. Nella Repubblica Sovietica Kun ricoprì la carica di Commissario per gli Affari Esteri, ma fu in realtà la personalità dominante nel governo. Come Kun disse a Lenin: “La mia personale influenza nel Consiglio Rivoluzionario di Governo è tale da garantire la stabilità della dittatura del proletariato, dal momento che le masse mi sostengono”. Isolato sul piano internazionale, si legò alla Russia, e scatenò la guerra contro la Cecoslovacchia per riprendersi la Slovacchia che gli era stata sottratta a Parigi. Intervenne la Romania che invase persino gran parte del territorio nazionale. Procedette quindi all’impegno principale: la politica economica. Il primo provvedimento fu la nazionalizzazione di diverse industrie e società commerciali, la socializzazione dei trasporti, delle banche, della sanità, degli alloggi, delle istituzioni culturali e tutte le proprietà terriere sopra i 100 acri. Contrariamente al parere di Lenin e dei Bolscevichi, Béla Kun si rifiutò di ridistribuire i terreni ai contadini, alienandosi così la maggioranza della popolazione. Invece dichiarò che tutti i terreni dovevano essere riconvertiti in cooperative agricole e, per la mancanza di qualcuno qualificato a gestirle, o forse perché il contadino voleva il suo pezzo di terra per se, la maggior parte dei contadini si tenne lontano; egli mantenne gli ex proprietari e dirigenti delle tenute come dirigenti delle nuove aziende collettive. In un tentativo di riguadagnare il sostegno popolare, Kun cancellò tutte le imposte delle zone rurali, ma senza risultato. Ormai la gente aveva capito che quella da lui proposta era una via senza sbocchi. Malgrado l’alta inflazione che divorava il valore della moneta e rendeva sempre più poveri gli ungheresi, cominciò a stampare moneta. L’inflazione salì alle stelle. La Repubblica si dimostrò anche incapace di risolvere il problema della carenza di abitazioni. Per fornire cibo alle città, il governo se lo procurò requisendolo nelle campagne. Lo scontento montava. E il sentimento popolare che aveva atteso il governo dei lavoratori con grande fiducia ormai gli era totalmente contrario. Il 24 giugno ci fu un tentativo di colpo di Stato anticomunista; il governo rispose con una feroce repressione, attraverso la polizia segreta e tribunali rivoluzionari. Ma questo era il segno evidente della caduta del consenso nei confronti di Bela Kun e della sua creatura. All’interno del Partito Socialista, era in corso una diatriba aspra e inutile sul nome definitivo del partito: a quanto pare, erano questi i problemi più importanti. Intanto il Contrammiraglio Miklós Horthy formò un esercito nazionale per combattere i rumeni e la Repubblica Sovietica. Dopo la ritirata dei rumeni nel novembre 1919 entrò a Budapest senza incontrare resistenza alcuna e vi instaurò un governo di destra. Durò fino al 1944. Il governo dei Soviet durò solo 133 giorni e cadde il 1º agosto 1919. Bela Kun si rifugiò in Russia. Era un oratore efficace, un bolscevico convinto, non aveva alcuna esperienza di governo e procedette coerentemente alle sue idee, distruggendo la vita di un grande nazione. Perché mi è tornato alla mente questo pressoché sconosciuto frammento della vita di una nazione europea? Perché sentire parlare i leader del Movimento 5 stelle, Di Maio, Di Battista, Figo(?), mi sembra di trovarmi davanti personaggi come Bela Kun: pienamente convinti delle loro (poche) idee, con nessuna esperienza di governo, neppure di enti locali, totalmente ignari della scienza economica, di amministrazione, accolgono quello che la gente si aspetta, senza alcuna capacità critica, indispensabile per trasformare un’aspirazione popolare, in legge o in provvedimento amministrativo. Il consenso di cui godono non è fiducia in loro e nelle loro idee. E’ il risultato di un grande scontento per le condizioni economiche della nazione; è lo scontento dei disoccupati, dei pensionati al disotto dei 700 euro, degli artigiani che non riescono a lavorare per mancanza di liquidità; dei commercianti che si vedono rifiutato il mutuo dopo che quasi 10 anni di recessione ha sottratto loro magazzino e clientela. Il malessere diffuso nella popolazione ha raggiunto numeri preoccupanti per una democrazia. Nei cittadini che hanno convinzioni, si manifesta con l’astensione: anche se scontenti non votano per un altro partito. Chi non ha particolari convinzioni, cavalca la protesta e vota i 5stelle. Ma per trasformare le ragioni della protesta in proposta ci vorrebbe uno studio approfondito, sia sociale, sia economico, da parte non solo di professori, ma anche di politici navigati, capaci di interpretare lo scontento. E di farne proposte politiche, cioè realizzabili. Di questo essi non sono capaci. D’altronde non c’è da sforzarsi molto per conoscere le loro idee importanti: il reddito di cittadinanza, una Banca di Stato, il micro credito per tutte le imprese, taglio della spesa pubblica, in particolare dei privilegi dei politici, aumento delle pensioni, onestà (ma questo non é prepolitico?), il piano energetico nazionale che prevede la totale abolizione dell’energia fossile entro il 2050. Chi potrebbe non essere d’accordo con queste proposte? Se possibili. Troppo semplici da annunziare, troppo difficili da attuare, se non si procede con grande prudenza e professionalità. Il paradosso, che conferma veramente l’inesperienza, è poi che licenziano per futili motivi qualcuno che l’esperienza se la stava facendo, come Pizzarotti, sindaco di Parma. In compenso candidano a sindaco di Roma, (4 milioni di abitanti), una ragazza che, salvo tre anni di consigliere comunale nella capitale, non ha mai governato neppure Rocca Cannuccia. Questa ragazza mi fa veramente pena: non ha capito niente di quello che è un comune di 4 milioni di cittadini, pieno di problemi, di ogni genere, ingigantiti da un’organizzazione forse improvvisata, e dall’essere capitale di una nazione. Se dovesse fare il sindaco, o si dimetterà dopo qualche mese (se è intelligente), o finirà in galera. Con un’ingenuità sorprendente, dichiara che nominerà un assessore a tempo per risolvere la questione delle partecipate. Appena risolto il problema, lo licenzierà. Dimostra due cose: primo che non conosce la struttura di un comune e la funzione degli assessori; secondo, quale grave problema sia quello delle partecipate. Non si liquidano in un giorno! E’ anche alquanto imprudente: non si è resa conto del fatto che lei non può dichiarare che licenzierà tutti i manager delle partecipate; alcune di queste sono quotate in Borsa, e hanno pagato con vistose perdite questa imprudente dichiarazione. Comunque si comincia a capire che, se la Raggi facesse il sindaco, non sarebbe lei a decidere, ma un gruppo di “commissari” che guiderebbe ogni sua iniziativa. Intanto, domenica, assistita da Di Maio, ha nominato quattro assessori che la garantiscono già in una serie di problemi: uno è eurodeputato che gli risolverà i problemi con l’Europa; un altro è deputato nazionale, che le risolverà i problemi col Parlamento; un altro è consigliere regionale e quindi già tranquilla a livello regionale. Circondata e assistita bene. Anche perché in casa 5stelle si pensa che è una ragazza che non si può lasciare sola. D’altronde sono rimasto stordito, quando l’ho sentito dichiarare che essa è per la democrazia diretta! Negli stati moderni, data la loro dimensione, é possibile solo la democrazia rappresentativa. Lo sanno tutti gli studenti di giurisprudenza! Si, ma loro, i grillini, hanno scoperto la rete. Quanti cittadini partecipano a questa giostra di manifestazione di volontà politica per essere democrazia diretta? Pare nell’ordine di alcune migliaia; democrazia diretta? Di Maio parla poco: dice le cose che si è preparato. C’è Di Battista, invece, che è un fiume in piena. Si esprime veloce, forse per non dare all’ascoltatore il tempo di soffermarsi sul contenuto. Inserisce sempre, anche se non c’entra niente, la frase ad effetto: “perché in questo modo Renzi sta distruggendo l’Italia; in modo da dare trasparenza e visibilità agli atti del governo e del Parlamento; a noi non interessano per niente i politici, a noi interessano i problemi della gente”. Alle domande, se non sa la risposta, e succede spesso, con grande abilità, svirgola e parla di altro. Ecco, hanno poche idee, ma le attuerebbero tutte e subito, se potessero. Poi, quando ci si troverà di fronte al disastro la colpa è degli altri, di quelli prima. Il più grande genio del Cristianesimo, S. Agostino, dichiarò: nel mio orto preferisco che entri un ladro piuttosto che un asino. Il ladro ruba l’uva e se ne va, l’asino mi distrugge la vigna.

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