IN PUNTA DI LIBRO…di Domenico Pisana. “Petri senza tempu”: la raccolta in lingua siciliana del poeta trapanese Nino Barone

nino barone

COPERTINA PETRI SENZA TEMPUCon “Petri senza tempu”, Edizioni Drepanum, 2015, l’itinerario poetico del trapanese Nino Barone, trova un’ ulteriore estensione qualitativa rispetto alla sua seconda pubblicazione del 2013, “Ciatu, musica e paroli”, atteso che l’autore riesce a focalizzare aspetti etico-estetici e linguistico-formali che evidenziano il suo chiaro processo di maturazione all’interno della poesia dialettale siciliana.

Già l’accurata e puntuale prefazione di Marco Scalabrino, che traccia una fisionomia dell’evoluzione poetica di Barone nelle sue luci e nelle sue domande aperte, nonché una disamina dei cinquantadue componimenti della silloge, ci dà le connotazioni dell’impianto tematico del volume e la struttura morfologica scelta dall’autore, il quale – scrive Scalabrino – è “partito col comporre quartine in rima baciata, passato poi alle quartine in rima alternata”, finendo, negli ultimi testi poetici, “per privilegiare le ottave endecasillabe a rime alternate” , e fino a giungere al metro libero, riportando sempre, tuttavia, sulla pagina, il suo mondo interiore e il suo canto dell’anima con efficacia e rilevanza: “Comu un cardiddu / cantu / canzuni / senza funnu …/ sugnu un cardiddu / e cantu/ dintra / la jaggia di lu tempu …”
Ed è un canto, quello di Barone, che conosce gli odori, i sapori, le contraddizioni, le bellezze, i paesaggi di sole e di mare della sua terra di Sicilia( “Scrivu / e cantu / di sta terra/ dunni / sciroccu e tramutana / si spàrtinu li jorna/ dunni suli e mari/ sunnu come sicchiu e corda/ dunni / tramuntu nfòcanu / lu tempu / e lu cantu / di li notti / è come un pasci cori…”); è un canto dove egli rivive il mito della fanciullezza (Picciriddi /nsignanu / la vita / cu lu ciauru / dì la nnuccenza..) abbandonandosi a lamentazioni che risentono della sofferenza del vivere: “…sutta la me cutra / sentu / vuci sbintati / palori / chi si màncianu / tra iddi / ciurmi / di suffirenza…”.
La poesia di Nino Barone è la poesia di un cuore “fanciullo” e disincantato, è poesia che disegna le coordinate della sua esistenza capace di riflettere sulla finitudine e sulla fragilità umana ( Semu pàmpini / strazzati / minnitta di lu ventu / zìngari / a lu furrìu ..”); è poesia “di” vita non “sulla” vita, perché riesce a farsi interprete anche dei momenti più semplici della quotidianità e dei mali che affiggono il vivere giornaliero (“…la me arma / è l’arma di sta terra / chi svàpura / sangu e suduri / e tanfu / di munnizza /accatastata…”); è poesia che sa comunicare stati d’animo, sensazioni, stupefazioni grazie all’utilizzo di immagini, suoni, figure retoriche, ritmi che trovano la loro armonia in una versificazione ove la lingua siciliana si fa linguaggio in un contesto di situazione, la parola si fa ascolto della storia ed attesa di un nuovo tempo, segno vibrante di un’esperienza poetica viva e ricca di motivazioni interiori: Stancu / abbilutu / nsurcatu / di li jiorna / longhi / aspettu / la notti / c’allenta / la me cursa ; “…Ascutu / palori/ mmiscati cu nenti /vacanti / di testa /e di corpu / chi nèscinu / di vucchi / mprisusi / putenti è lu scrusciu / chi fannu…”.
Queste citazioni ci dicono come dentro le poesie in lingua siciliana di Barone scorra forza valoriale ed etica, realismo e tensione ideale, suggestione di canto e passione religiosa, fascino e sogno; ed in fondo, questo ci pare quel che più conti rispetto a precisioni linguistiche e formali, nonché a dibattiti, sia pur legittimi, sulla necessità di una koinè siciliana comune, atteso che la poesia non si produce “scientificamente” e che anche quando ci si eserciti per scriverla bene ricorrendo a vocabolari siciliani comuni che ne indichino l’uso corretto, non è seguendo tutto ciò che, sic et simpliciter, viene fuori una poesia. Sarebbe – direbbe la poetessa Donatella Bisutti – come fare una pasta senza lievito: senza l’emozione-lievito, si affloscerà miseramente e, senza la fantasia, niente riuscirà a trasformare l’emozione in immagini.

La poesia, dialettale o in lingua siciliana che si voglia chiamare, non è, certo, figlia di un dio minore, come alcuni vorrebbero insinuare. Non è così. Anzi, alcuni fra i maggiori poeti del ‘900 sono stati poeti in dialetto, come il milanese Delio Tessa, i veneti Giacomo Noventa e Biagio Marin, come lo stesso Pasolini che fu uno dei primi a scrivere in dialetto.
Nino Barone è tra quelli che insiste sul fatto che non bisogna chiudersi nel proprio recinto, perché non esiste solo un dialetto “di area geografica”, ma una koiné siciliana come “sistema complessivo linguistico” che è testimonianza di una sicilitudine con una propria parlata poggiata su due ragioni: 1)la lingua siciliana è nata con il popolo siciliano, è rimasta intatta nelle sue caratteristiche e peculiarità durante i secoli; 2) gode della propria Grammatica e del proprio Vocabolario. La lingua siciliana che tuttora si scrive e si parla, è insomma la lingua degli Aborigeni siciliani.Questi aborigeni sono i Siculi provenienti del Lazio e i Sicani provenienti dalla penisola iberica e dall’Africa, che incontrandosi in Sicilia, hanno amalgamato il loro modo di vita e le loro lingue.
E’ ben noto a tutti, del resto, che fin dall’ottavo secolo a.C. la Sicilia è stata crocevia di lingue e culture, è stata luogo di invasori dagli idiomi più diversi: Greci, Fenici, Cartaginesi, Unni, Vandali germanici, Goti di Svezia, Arabi, Bizantini, Normanni. E ancora: Romani, Angioini, Aragonesi, Spagnoli , Austriaci, Borboni, Francesi. È facile, quindi, capire in che misura, attraverso questi influssi, la lingua siciliana, che è stata la prima lingua letteraria italiana, possa essersi sviluppata arrivando ad essere quella che si parla e si scrive oggi.
Basta solo qualche esemplificazione per rendersi conto come queste influenze siano state rilevanti e significative. E così, la nostra espressione siciliana “antura”(poco fa) non è altro che il latino “ante horam” e il termine “allippatu”(scivoloso”) corrisponde al “lipos” greco; la nostra “giuggiulena”(semi di sesamo) non è altro che l’arabo “giulgilan” e il nostro “sciarriarisi”(litigare) equivale all’arabo “Sciarr; la nostra “seggia”(sedia) corrisponde al franco-provenzale “seige”; il nostro “Tanfu”(puzza) non è altro che il tedesco “Tampf”; il nostro “travagghiari”(lavarorare) corrisponde al francese “Travailler” e la nostra “pignata”(pentola) non è altro che lo spagnolo “pinada”, come pure la nostra “scupetta”(fucile) e il nostro “sgarrari”(sbagliare) corrispondono ai lemmi spagnoli “escopeta”ed “Esgarrar”.
Tutto questo è sintomatico di come il dialetto siciliano si sia dotato di uno statuto speciale rispetto agli altri dialetti, vista la sua lunghissima storia che l’ha arricchito e che l’ha portato al rango di lingua e non più di dialetto.
Poeti dialettali contemporanei come Nino Barone e tanti altri della nostra Sicilia occidentale e orientale, in fondo testimoniano con il ricorso alla versificazione vernacolare che la lingua siciliana è un “patrimonio culturale” da tutelare e valorizzare, al di là delle legittime dialettiche tra chi predilige scrivere il siciliano così come lo si parla (fonografismo) , e chi auspica una scrittura che segua comuni regole grammaticali , foniche, morfosintattiche (etimologismo).
Quel che ci piace della silloge poetica “Petri senza tempu” di Nino Barone, è la sua consapevolezza nell’affermare che la poesia in lingua siciliana è l’espressione testimoniale del pathos di una civiltà, è uno scandagliare le nostre radici e un rivisitare un mondo che ci appartiene, è una lingua che è l’anima di un popolo, che dà libertà ad un popolo, proprio come cantava Ignazio Buttitta: “un populu diventa poviru e servu quanno ci arrobanu a lingua adduttata di patri:-è persu pi sempri”.( “Un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua dei propri padri: è perduto per sempre”).
Ecco, la poesia di Nino Barone è fatta di cose semplici, di emozioni e sentimenti, di paesaggi dell’anima e di slanci di socialità, e va inquadrata nell’alveo di una tradizione di poesia popolare siciliana dove ciò che s’impone non è certo il preziosismo virtuoso del verso, quanto il sentimento di partecipazione alla lettura della quotidianità e del proprio situarsi nella logica e nella dinamica sociale del proprio tempo. Dice il poeta dialettale Giuseppe Cavarra “ ‘un pueta mori se nu canta’ ”: Barone è tra questi, è tra coloro, cioè, che trovano nella scrittura di versi in lingua siciliana la risposta al suo bisogno di cantare, di amare, di sognare, di dipingere la vita, di tuffarsi nel colore delle emozioni( “Accogghiu /emozioni / e jinchiu la cesta / faiddi di vita / di lu me filaru / chi nun havi / ràrichi …”), di meravigliarsi, di capire i perché del gioire e del soffrire, ricostruendo in tal modo il tessuto del suo cammino esistenziale.
Ed è così , pertanto, che Barone incide nei suoi versi immagini di vita, paesaggi dell’anima e scenari esistenziali: dall’amore al dolore ( “Vidu / omini / scufuniari / la munnizza / ùmmiri / c’affuddanu / cantuneri / fitusi / dunni / si cerca / la vita / tra rimasugghi / frischi di jurnata / mi sentu / muriri…”), dal sentimento religioso a quello sociale, dalla rappresentazione della realtà al vissuto relazionale ( “…Quannu / trasu / dintra la to arma / mi sentu / arrè nutricu / strinciutu / nta pettu / di na matri…”). Sì, perché il poeta trapanese è uno che sa guardare negli occhi, che non si nasconde e che invita l’uomo del nostro tempo, a non cadere nella costante tentazione della finzione di pirandelliana memoria: Lu sannu / li pirsuni / chi jettanu /sintenzi / a prima affacciu / soccu / s’ammuccia /darrè la me risata / taliàtimi nta l’occhi / e v’addunati / quannu / la streva / di la me vita /allasca / e nuddu /Culapisci agguanta / taliàtimi / nta l’occhi / e v’addunati / quannu / ‘n sùppilu n’ sùppili mi tegnu / ‘ peri / metri sàutu / e volu / taliàtimi nta l l’occhi / taliàtivi”.
Come si può notare l’orditura dei versi è semplice e lineare, il tono pacato, le atmosfere sono godibili e giuocate su dinamiche interiori in cui l’umano si esprime senza incrostazioni intellettualistiche; il ritmo, nonostante alcune ridondanze, è sempre controllato e teso a scandire il contenuto tematico nella sua oggettivazione lirica.
Nino Barone, al di là di certi indugi descrittivi, riesce sicuramente a darci una bella poesia del sentimento che si connota quasi come “creazione parenetica ” che viaggia all’interno di uno scenario in cui ciò che più conta è la fisicità dell’esistente; i versi esprimono più che una dichiarazione di poetica un modo di vedere la realtà, il sentimento delle persone, il valore analogico delle cose, la sua sensibilità lirica di uomo che riesce a oggettivare l’esistenza ricorrendo a “parole-tema” ove tutto è disposto con nessi strutturali che simultaneamente s’intrecciano e si discostano obbedendo ad un principio interiore ordinatore.
Le poesie in lingua siciliana di Nino Barone sono insomma vive, parlano la lingua della gente, riflettono i luoghi della sua terra, la purezza di alcuni sentimenti e la bellezza di valori che rimangono indelebili nel tempo, proprio come le pietre: “”…metri canti lamintusi / d’antichi vanniatura / spirtùsanu / la ntisa / semu petri / senza tempu.”
E mi piace concludere con le parole della poetessa Donatella Bisutti, quando dice che “Solo noi possiamo decidere come deve essere la nostra poesia Solo noi, dunque, possiamo decidere quello che è importante. La poesia ci dice: ‘E importante ciò che importa a noi’. Ci insegna a non dipendere dagli altri: in particolare da coloro che vogliono sempre spiegarci che cosa dobbiamo fare. Esiste quindi un rapporto molto stretto fra poesia e libertà”.
Ecco, Nino Barone vive proprio questa libertà ed essendo un autore dalla “inventio” agile e fascinosa, nella silloge “Petri senza tempu” è riuscito a darci il suo mondo, il suo canto dell’anima, la fotografia del disagio sociale che affligge il nostro tempo, sapendo “narrarsi” con una forza di sentimenti e di suggestioni della sua terra e con una scrittura che vale principalmente per i contenuti che offre e per la sua capacità di umanizzare gli oggetti, di andare oltre le cose e il tempo cogliendo nella realtà i segni della trascendenza.

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