Scicli ha dato l’estremo saluto a Severino Santiapichi. “Magistrato integerrimo, umile, onesto, di grande e raffinata preparazione e cultura”

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Se ne è andato nel silenzio e nell’abbraccio della sua città. Il giudice Severino Santiapichi è stato salutato dalla sua Scicli con una sobria cerimonia di esequie che ha visto, nella chiesa di Santa Maria La Nova, la partecipazione di tutte le massime autorità civili e militari della provincia che hanno abbracciato la famiglia del magistrato manifestando il loro più sincero cordoglio. Sulla bara la toga, a ricordare l’impegno di un magistrato integerrimo, umile, onesto, di grande e raffinata preparazione e cultura.

Ad officiare il rito religioso don Antonio Sparacino, concelebranti il vicario foraneo don Ignazio La China e il padre domenicano don Vincenzo Russo. Don Sparacino ha particolarmente ricordato il giudice uomo, colui il quale si è speso per la legalità, per la democrazia e per la libertà. Un uomo dalla raffinata preparazione giuridica, storica, letteraria e sociale e dalla grande onestà intellettuale. Proprio questa ultima dote è stata ricordata anche dal figlio Xavjer, a conclusione del rito funebre, allorquando con una breve e commossa riflessione ha inteso ringraziare la città per il forte abbraccio con cui ha stretto il giudice nella dipartita dicendosi fiero della grande onestà intellettuale che ha contraddistinto un padre, un giudice, uno scrittore, un uomo che Scicli ricorderà per sempre annoverandolo fra gli uomini illustri della città. Un grazie alla famiglia del giudice Severino Santiapichi per aver scelto di allestire la camera ardente a Palazzo Busacca, luogo al quale lo stesso Santiapichi, il presidente del processo Moro e di Alì Agca, l’attentatore di Papa Giovanni Paolo II, era legato sentimentalmente, dando modo all’intera città di visitarlo e di rendergli l’estremo saluto. Un grazie, anche postumo, allo stesso magistrato per essere stato un raro esempio di rettitudine, onestà, ed umiltà che la Scicli di ieri, di oggi e di domani ricorderà per sempre. Colui che, con la sua semplicità ed il suo grande coraggio, la sera prima dell’inizio del processo Moro, contro i brigatisti rossi, venne ospitato nella sagrestia di una chiesa nell’attesa dell’avvio di quel giudizio penale. Sapeva che lo attendeva un compito delicato che concluse con 32 ergastoli.

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