IN PRIMO PIANO. Le “Odi alle dodici terre” di Domenico Pisana nella traduzione inglese della poetessa Floriana Ferro

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floriana-ferroLa recente opera poetica di Domenico Pisana, “Odi alle dodici terre. Il vento, a corde, dagli Iblei, oltre a contenere al suo interno 30 opere del M° Piero Guccione, si presenta al lettore con a fronte il testo in inglese di ogni Ode. Riportiamo di seguito la nota della traduttrice del volume, la poetessa Floriana Ferro, che così scrive:

“Quando mi è stato chiesto di tradurre la raccolta di Domenico Pisana Odi alle dodici Terre, ero inizialmente dubbiosa sul fatto di potervi riuscire. L’inglese, che mi è familiare da quando ero piccola, non rappresentava di per sé un ostacolo. Mi ero recentemente approcciata anche all’inglese poetico, non più solo da ascoltatrice, ma anche da praticante. Mi trovavo a Londra, dove frequentavo spesso il Poetry Café di Covent Garden: lì non ci si limitava ad assistere alle performances degli altri, ma si veniva stimolati ad esporsi. Di primo acchito, avevo un certo timore reverenziale ad accostarmi al sacro fuoco della poesia in una lingua non mia. Parlare, pensare, scrivere: avviene tutto secondo il codice linguistico della realtà in cui si è nati e cresciuti. Ed io, in Inghilterra, non vi ero né nata, né cresciuta. Eppure una certa curiosità per la lingua del luogo mi aveva spinta ad approfondire quel sistema lontano dal mio.
In poesia questo vale a maggior ragione. La lingua italiana è analitica, dalla musicalità fluida, le sue parole si distendono languidamente in parecchie sillabe e descrivono nei particolari ciò che rappresentano. La lingua inglese invece è sintetica, dal ritmo spezzato, con termini che sembrano sobbalzare in una direzione o in un’altra e attuano mirabolanti giochi di parole. Da una parte una lingua di dame e cavalieri, dall’altra una di giocolieri e acrobati.
Di primo acchito, dunque, avevo timore a utilizzare un codice che non mi apparteneva dalla nascita. Eppure, una volta entrata in contatto con chi quel codice lo utilizzava fluidamente, ho iniziato ad appropriarmene. Da straniera, naturalmente. E così ho iniziato a declamare i miei versi nelle due lingue, perché gli inglesi chiedevano esplicitamente di recitare anche in lingua italiana: sono innamorati, a buon diritto, del nostro poetare. Io ho ricambiato questo sentimento e mi sono messa in gioco. Gli inglesi hanno apprezzato l’impegno e persino pubblicato un mio libro nella loro lingua.
Quando mi è stato chiesto di fare lo stesso con i versi di qualcun altro, ho visto di fronte a me un ulteriore ostacolo. Avrei dovuto non solo affrontare qualcosa di difficile, ma affrontarla per qualcuno, che si affidava a me per far conoscere la sua poetica in terre lontane. Ho avvertito il peso della responsabilità, eppure, con l’incoscienza propria di chi ama le lettere, ho accettato.
A quel punto mi si è dischiuso un mondo meraviglioso, di cui conoscevo solo la superficie. Domenico Pisana, poeta modicano, ha chiesto a una poetessa catanese di entrare nel suo mondo, con la dettagliata descrizione dei luoghi amati, e di renderli noti al pubblico anglosassone. Diverse volte sono stata nel ragusano, ma credo di non averlo mai conosciuto così bene prima della lettura di quei versi.
Prima di tentare l’impresa da traduttrice, ho letto con attenzione la silloge. Si trattava di poesie di varia lunghezza, dai metri e dai ritmi diversi: nella stessa lirica potevano alternarsi pentasillabi ed endecasillabi, in altre settenari e dodecasillabi, ecc.
Come una melodia lirica, vi erano i piani e i forti, il languore dei ricordi e la forza di immagini significative. Per leggere le poesie, per scriverle e ancor più per tradurle, bisogna fare come i musicisti: saper interpretare lo spartito. Bisogna avere orecchio, conoscere i segni, distinguere gli intervalli, far risuonare il tutto nella propria testa. E poi cantare ad alta voce, per far sì che la forza delle parole si impadronisca della propria anima.
Scorrere le poesie di Domenico Pisana è stato un viaggio all’interno della sua terra, non solo della bella Modica, che di sera dall’alto sembra un presepe, ma anche di Ragusa e del suo gioiello di nome Ibla, di Sampieri, deliziosa località di mare, di Comiso, cittadina di arti e mestieri, di Santa Croce Camerina, con i suoi lavoratori stranieri, di Giarratana, nota per la sua eccezionale cipolla, e di tante altre località. Si tratta di una zona che, non lo dico per piaggeria, ritengo tra le più belle della Sicilia. Gli stranieri la conoscono perché lì hanno sede i racconti di Montalbano, scritto dal nostro conterraneo Camilleri. Eppure sarebbe meglio per loro che venissero a visitare personalmente questi luoghi e si inebriassero dell’aria pulita, dell’acqua salmastra, del cibo saporito, del sole che accarezza e brucia la pelle, della pietra bianca che delizia gli occhi.
I versi di Domenico Pisana sanno descrivere l’autentica bellezza di questi luoghi, che risuona attraverso le parole di un poeta che è perdutamente innamorato della sua terra e che a volte si lascia andare a ricordi di gioventù, a lodi articolate, a considerazioni etiche pregne di fede. D’altronde, come si può essere ottimi poeti senza dei, così si può esserlo mettendo in musica l’anelito all’altrove.
E così Domenico Pisana connota di divina grazia tutto ciò che si trova a descrivere. Eppure non si tratta di semplici odi alla terra. Il poeta ricorda grandi personalità, intellettuali da lui conosciuti o comunque amati, che hanno donato un lustro e una ricchezza che il denaro non potrà mai acquistare.
Tradurre Domenico Pisana è stato dunque tradire tutto ciò che egli ha espresso nella sua lingua, riportarlo in parole e immagini non sue, con una musicalità diversa. Il mio sforzo è stato quello di rendere il tradimento meno evidente possibile, utilizzando versi di lunghezza simile a quelli originari e termini che potessero evocare le immagini e i concetti espressi in italiano. All’occorrenza mi sono discostata, attuando una via di mezzo tra l’aderenza assoluta al testo originale, tipica dei traduttori anglosassoni, e il ricorso a un linguaggio esteticamente bello ma poco fedele, tipico degli italiani.
La mia scelta è stata discostarmi da Pisana solo quanto bastava per rendere i suoi versi graditi al lettore straniero, senza fargli perdere il contatto con l’originaria bellezza di quanto descritto. Tradurre è sempre tradire, ma posso dire di averlo fatto con le migliori intenzioni. D’altronde, avrei potuto accostarmi a quei versi soltanto con rispetto. Prima di tradurre Pisana, sono entrata nel suo mondo e l’ho profondamente apprezzato”.

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