La Corte dei conti deferisce il Comune di Modica alla Procura della Repubblica di Ragusa e alla Procura della Corte dei conti. Ciò che ne pensa Ivana Castello(Pd). Riceviamo e pubblichiamo

ivana castello

1. Cenni introduttivi
Desidero parlare, oggi, di una questione dai più dimenticata ma che, sotto traccia, va certamente avanti per i suoi destini.
Un mese e mezzo addietro è pervenuta in Comune una delibera della Corte dei conti che ha sollevato gran frastuono di idiozie, voci disinformate e pensieri malevoli. Qualcuno si è compiaciuto di scambiare, in modo astuto, l’interesse dell’Amministrazione con quello della maggioranza. Qualche altro ha voluto instillare che a determinare la Corte sia stata «la consigliera Ivana Castello» con le sue interrogazioni-denuncia. Qualcosa di vero potrebbe esserci, ma a giudicare dai documenti emessi dalla stessa Corte non mi pare si possa sostenere sino in fondo. Il discorso meriterebbe un’ampia introduzione giuridica, allo scopo di spiegare, almeno, le principali norme che costituiscono il contesto in cui ci si muove. Ciò però rischierebbe di trasformare l’articolo in un libretto di qualche centinaio di pagine. Limitiamoci, dunque, a quel che sembra essenziale.

2. Il gran frastuono di idiozie, voci disinformate e pensieri malevoli

La deliberazione n. 100/2017 della Corte dei conti, che riguarda il monitoraggio degli adempimenti relativi al Piano di riequilibrio finanziario del Comune di Modica, è articolata in dieci pagine esatte. Alla pagina 10 prendono forma due disposizioni sanzionatorie. A causa di omissioni imputabili all’Amministrazione e al Collegio dei revisori dei conti, che possono avere risvolti penali, la Corte dispone che:

«copia della presente (deliberazione, n.d.r.) sia trasmessa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Ragusa e alla competente Procura regionale di questa Corte».

« copia della presente (deliberazione, n.d.r.) sia trasmessa agli ordini di appartenenza dei componenti dell’organo di revisione del Comune di Modica per gli eventuali profili di rilevanza disciplinare».

Le due disposizioni non possono definirsi frequenti: piuttosto sono rare perché la Corte dei conti difficilmente si spinge o si è spinta nella comminazione di sanzioni di qual si vuole natura. Specialmente in sede di collaborazione coi Comuni che hanno problemi di dissesto finanziario. Il fatto è che il Comune ha impedito alla Corte, (e lo dice essa stessa, più volte, nel corpo della delibera), di svolgere le proprie, obbligatorie, funzioni. Senza che si sia gridato allo scandalo da parte della maggioranza, che avrebbe dovuto accorgersi che l’omissione era marchiana, voluta e rivolta verso una delle istituzioni più importanti del Paese, attiva nell’esclusivo interesse dei cittadini.
In sintesi, la richiesta della Corte dei conti di verificare se sussistano, da parte dell’Amministrazione comunale e del Collegio dei revisori, comportamenti a rilevanza penale, ha sorpreso e scosso i meglio informati.

2.1. La posizione del Magistrato istruttore

C’è dell’altro, però. La Corte ha voluto trattar bene l’Amministrazione, se consideriamo le richieste del Magistrato incaricato dell’istruttoria. Il ragionamento di quest’ultimo, per altro, non fa una piega. L’articolo 243 quater del Tuel prevede che il Piano di riequilibrio, una volta approvato, sia sottoposto al controllo della Corte dei conti con cadenza semestrale. Il controllo avviene attraverso una relazione stilata dal Collegio dei revisori, che va inviata alla Corte entro i quindici giorni successivi alla scadenza di ciascun semestre. Tale relazione, però, non è stata inviata, né per il primo e nemmeno per il secondo semestre 2016. L’adempimento è stato sollecitato, con nota del 24 febbraio 2017, dallo stesso Magistrato istruttore, ma ha prodotto una risposta, così dice il Magistrato, atta solo a far perdere ulteriore tempo. «A prescindere dai profili di rilevanza penale che meritano di essere sin d’ora sottoposti all’esame dei competenti organi inquirenti si deve evidenziare» è sempre il Magistrato istruttore a parlare «la gravità del persistente inadempimento che paralizza l’attività di verifica demandata alla Sezione». Invita, per tanto, la Corte a «richiedere al Comando della Guardia di Finanza l’attivazione di un Reparto cui demandare l’accesso presso l’ente per gli accertamenti del caso» (Lettera del 5 aprile 2017, prot. n. 64051845, pag. 2, 3° capoverso). Come a dire che, per ovviare all’inadempimento dei revisori, basta incaricare un reparto della Guardia di finanza affinché prelevi gli atti da esaminare e li rechi al Giudice. Il controllo potrebbe trarne beneficio, poiché sarebbe svolto non più su documenti de relato, la relazione dei revisori, ma sugli atti originali.

La richiesta è emblematica, poiché dimostra che oggi il Comune di Modica è punito non perché sia stato accusato da qualcuno, ma esattamente per il contrario, ossia per la mancata informazione della Corte in merito alle vicende che riguardano il Piano di riequilibrio. Il comune di Modica è deferito alla Procura della Repubblica di Ragusa e alla Procura della Corte dei conti in quanto ha nascosto, così sostanzialmente dice la Corte, i dati che attestano la reale situazione finanziaria e amministrativa del Comune.

3. L’obiettivo della Delibera n. 100 del 2017

L’articolo 243 quater del Tuel dispone:

«3. (…) In caso di approvazione del piano, la Corte dei Conti vigila sull’esecuzione dello stesso, adottando in sede di controllo, effettuato ai sensi dell’articolo 243-bis, comma 6, lettera a), apposita pronuncia.».

Nell’ambito della vigilanza sull’esecuzione del Piano, la Sezione di controllo è stata convocata «per pronunciarsi in ordine all’inadempimento da parte dell’organo si revisione» (Corte dei conti, Delibera n. 100/2017, pag. 2, ultimo capoverso). Ovviamente l’accertamento non è fine a se stesso, bensì prodromico all’accertamento degli obiettivi intermedi del Piano. La Corte lo ricorda:

«(…) il piano di riequilibrio del Comune di Modica è stato approvato (…) con numerose e rilevanti riserve, alla luce di gravi ed incontrovertibili profili di criticità di merito nonché di un quadro (…) contabile opaco e scarsamente attendibile. In considerazione di tali rilievi, la Sezione imponeva all’ente di attivarsi urgentemente e subordinava il proprio giudizio positivo di congruità agli esiti dei successivi monitoraggi (Delibera n. 311/2015/PRSP» (Corte dei conti, Delibera 100/2017, pag. 3, ultimo capoverso).

Tra le verifiche da effettuare la stessa Corte segnala le più importanti:

– «la inattendibilità del disavanzo esposto che appariva sottodimensionato (…) in ragione della ingente mole di residui attivi vetusti e di dubbia esigibilità che l’ente faceva registrare e che permaneva anche dopo il riaccertamento propedeutico all’approvazione del piano di riequilibrio, indice di un non corretto adempimento di tale fondamentale operazione» (Corte dei conti, Delibera n. 100/2017, pag. 4, primo trattino).

– il deterioramento dei già precari equilibri di cassa. Al 31 dicembre 2015, termine di riferimento del primo monitoraggio del Piano di riequilibrio, il debito nei confronti del Tesoriere (la banca di appoggio del Comune) ammontava a oltre 19,8 milioni di euro, pari al 44% delle entrate correnti, ossia a ben nove volte la soglia di deficitarietà strutturale. L’Amministrazione Abbate, però, ha mascherato la reale situazione. Come? Ha preso a prestito, ai sensi del d. l. 35/2013, 24 milioni di euro e, anziché collocarli in un capitolo vincolato, come prescritto per legge, li ha posti in propria disponibilità, nella cassa del tesoriere. In tal modo il saldo di cassa restava positivo, almeno sino alla spendita dell’ultimo dei 24 milioni. La reale evoluzione dell’anticipazione di cassa era praticamente mascherata. Allo stesso tempo, però, si rendeva impossibile pagare i debiti per cui il mutuo era stato contratto (Corte dei conti, Delibera 100/2017, pagg. 4, secondo trattino e 5);

– l’aumento del divario tra riscossioni e pagamenti di parte corrente, che, nel triennio 2012-2015, è aumentato di otto milioni di euro (Corte dei conti, Delibera n. 100/2017, pag. 5, secondo, terzo e quarto rigo);

– l’aumento a dismisura dei residui passivi. Nel solo esercizio 2015 sono aumentati di ben 38,9 milioni di euro (Corte dei conti, Delibera n. 100/2017, pag. 5, quarto-settimo rigo);

– il mancato rispetto del programma di ripiano dei debiti. La Corte formula una precisa osservazione: le passività potenziali sono passate da 8,2 a 10 milioni (Delibera n. 100, pag. 5, primo capoverso). L’incremento, pari a 1.800.000 euro, supera il decremento di 1.300.000,00 euro dovuto ad un parziale ripianamento della massa debitoria. La situazione finanziaria del Comune nel 2015, dunque, non solo non è migliorata ma si è pure aggravata. Agendo così, dice la Corte, l’Amministrazione ha incrementato i debiti più di quanto li ha ridotti. Insomma, Abbate è riuscito a cancellare lo stesso programma di risanamento (Corte dei conti, Delibera n. 100/2017, pag. 5, primo capoverso).

Come già detto, queste verifiche, con riferimento al 2016, devono ancora esser compiute, anche se i punti nodali sembrano ben individuati.

4. Malevolenze ed omissioni

Come abbiamo potuto acquisire dalla lettura della Delibera n. 100, la Corte dei conti ha deferito il Comune alla Procura della Repubblica di Ragusa e alla Procura della Corte dei conti, imputandogli il mancato invio delle relazioni dei revisori. I revisori, a loro volta, vanno invitati a riflettere sull’accaduto e a relazionare in Consiglio comunale per spiegare le ragioni dell’omissione. Certo un fatto è chiaro: la Corte dei conti probabilmente ritiene che il regista delle omissioni sia il sindaco il quale, se crede che la Corte sbagli, dovrebbe chiamare i revisori alle loro responsabilità. E dovrebbe chiamarli anche per i danni che potrebbero determinarsi in caso di dissesto.

5. Conclusioni

Dopo quanto detto, il lettore potrebbe concludere che, tutto sommato, Abbate ha governato; nel governare è incappato in qualche errore e, per tale errore, potrebbe essere costretto a pagare un prezzo. L’analisi, però, sarebbe priva di fondamento. Tutto sommato ancora una volta si pone l’eterno dilemma delle ragioni del governare. Si governa per il bene pubblico o per qualche finalità privata? Dico subito che «la finalità privata» in sé e per sé non può esistere e che sarebbe un grave reato perseguirla. L’arte del governo, inteso nel senso di amministrazione della res publica, non ammette finalità estranee a quella del bene pubblico. Nel caso in esame, invece, l’omissione delle relazioni da parte del Collegio dei revisori -non è detto chiaramente ma è ciò che teme e ritiene la Corte dei conti- potrebbe ascriversi all’esigenza del sindaco di candidarsi per personale carriera politica. In tal caso, è solo un’ipotesi, il buon governo sarebbe sacrificato all’esigenza personale di carriera e la spesa del pubblico denaro potrebbe essere indirizzata verso obiettivi impropri. Ciò potrebbe sortire conseguenze penali. Mi permetto di percorrere una strada sin ora mai percorsa poiché, nei fatti, si sconta che l’eletto possa fare tutto ciò che ritiene, ivi compresa l’utilizzazione del pubblico denaro per fini impropri. In materia esistono non solo convincimenti scontati ma anche coperture istituzionali. Esistono, tuttavia, anche leggi che inducono verso una direzione opposta. Ad esempio le leggi sul controllo della Corte dei conti. E’ questa la direzione che occorre avere il coraggio di percorrere, anche previa rifondazione dell’Italia a partire dalle sue radici.
In atto il disegno di Abbate è quello che vede piegato il buon governo alle esigenze egoistiche del politico di turno. La Corte dei conti, tuttavia, si è opposta. E questo, oggi, non solo mi sta bene, ma costituisce una ineludibile necessità sociale da sviluppare in futuro e indipendentemente da specifici riferimenti a fatti o persone.
Ivana Castello, capogruppo Pd

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