Uno “scrigno di vita e di memorie” appare al lettore il libro “Odi perdute. Racconti e parole” del ragusano Lorenzo Migliore, pubblicato a cura dell’Associazione Culturale Officina 90, 2015.
Un volume dove il sentimento attraversa, con forte tensione emotiva, tutta la struttura teleologica della versificazione, la quale si presta ad una lettura polisemica della realtà esistenziale dell’autore in un contesto di cammino vissuto “nel” tempo e “con” il tempo.
Certo, è vero, la poesia non è fatta solo di buoni sentimenti, ma è altresì vero che se l’unica protagonista della poesia è la vita e non la finzione, pirandellianamente intesa come “costruzione della mente” , le Odi di Lorenzo Migliore sono un tuffo reale ed autentico dentro la sua umanità con il tocco di una liricità che ne fa un “canto dell’anima” affidato alla storia e alla memoria delle future generazioni.
L’autore riporta sulla pagina uno spaccato interiore che va dall’agosto del 2014 al giugno del 2015 e pur non ritenendosi , per senso di umiltà, un poeta, dichiara di avere come punti di riferimento il Nobel per la Letteratura Pablo Neruda quando afferma “Accade in quell’età…La poesia / venne a cercarmi./ Non so da dove/ sia uscita, da inverno o fiume./, e il grande Benigni lì dove sostiene che “La poesia ci aiuta a compiere un’esperienza irrepetibile di libertà”.
Ed è propria questa “esperienza di libertà” , vissuta in un dato tempo e in uno dato spazio, ad attraversare tutta l’opera di Migliore, trovando nel verso le sue vele per viaggiare dentro tessuti ontologici che cantano la bellezza e l’amore, la sofferenza e il dolore , il senso dei rapporti e delle relazioni con l’uomo e con Dio.
Ciò che colpisce delle Odi di Migliore è la loro semplicità, “non calcolata” direbbe il BO, ma scaturita dal bisogno di offrire al suo lettore un tracciato di spontaneità quasi a modo di testimonianza; l’autore infatti, ed egli stesso sente il bisogno di chiarirlo nella sua nota introduttiva, non è interessato ad allineamenti di correnti letterarie né a generi particolari di poesia, ma solo a ripercorre, con l’aiuto della poesia stessa che è venuta a cercarlo, lunghi anni di vita trascorsi tra battaglie sociali e culturali, impegni politici e professionali, attività istituzionali di evidenza pubblica, compresa quella di Sindaco di Ragusa.
Certo, il piglio autobiografico che connota questa raccolta potrebbe indurre il lettore a leggervi in esso un “resoconto diaristico”, ma così non è perché le varie composizioni poetiche camminano in massima parte dentro un alveo di liricità ove spiccano immagini, metafore, messaggi, paesaggi e squarci allusivi nonché forme stilistiche che rendono gradevole ed efficace tutta la versificazione:
“…Le case variopinte si intrecciano / alla luccicante pietra arenarea, insieme rammendano i guasti tellurici,/allargano il paesaggio / di vie diritti e cortili arabici, / miracolosamente sovrastati / dalla precaria torre dell’orologio…”; “Si piega, / si flette, / in basso, di fianco / avanti, indietro, / dove lo spinge il vento…”: “…Non vorrei vedere / le violenze consumate nei mari, / i relitti di guerra e di pace, / simboli di barbarie…”.
Piace di questo libro anche la dimensione lirico-affettiva, che trova la sua oggettivazione in testi poetici come “Mio padre”, “Manuela”, “Caro figlio”, “Mamma”, “Ibla: il cocuzzolo fatato”, “A Massi”, “Angelica”, “Passione”, Meriggio” etanti altri testi ancora.
Si tratti di testi accomunati da un sentimento trasformato in musica dell’anima poetica dell’autore, mediante “parole epifaniche” che si fanno linguaggio, movimento, sguardo dell’io, rivelazione di un pensiero ove avviene un processo di ricongiungimento tra passato e presente.
Lorenzo Migliore affida i suoi versi, nella seconda parte del volume, ad una dolente meditazione che ha le sue categorie portanti nella sofferenza e nel dolore. Qui il tono crepuscolare caratterizza l’atmosfera delle liriche e anche il respiro poetico si essenzializza in versi di rilevante intensità semantica:
“…E’ sera, dopo sarà, la notte,
i desideri volano
sul vento dei pensieri,
è l’anima che trascina
verso i sogni del domani,
non distinguo bene
sfumature e colori,
cerca inutilmente
di sfuggire
al buio eterno della notte”
( Sentieri )
………………….
“Sento la mia anima crollare
Sul letto di foglie secche del viale,
sento l’odore acre della muffa
che assale fino in fondo le narici,
i piedi rifiutano il cammino:
vogliono scalciare il fango
per evitare il marcire delle foglie…”
( Il crollo).
Le citazioni potrebbero essere tante, ma tutte convergono nella direzione di un distacco del poeta dal chiasso urlato della società, a favore di un canto in forme dimesse e colloquiali emesso nel silenzio dell’intimità personale, e finalizzato a far risaltare la stanca condizione dell’esistenza: “…Scivolo sulle anime dolenti / tra le foglie fradice di pioggia…” .
In questa atmosfera crepuscolare, appare evidente che il piano metrico-stilistico del volume non cerca forme di estetismo poetico, ma si traduce in un tono comunicativo che richiama Sergio Corazzini (1886-1907), il quale diede vita ad una poesia che trasudava di vicende biografiche drammatiche personalmente vissute, come anche
lo stesso Guido Gozzano (1883-1916), il quale poetizzava il mondo circostante non rinunciando mai ad un tono colloquiale e prosaico per rappresentare la realtà.
Le “Odi perdute” di Lorenzo Migliore sono dunque “parola e racconto” perché hanno come protagonista la vita, non solo quella del poeta, ma di ogni uomo; sono Odi che ricorrono ad un lessico semplice e ad una sintassi paratattica che si muove con un verso libero e decisamente guidato da una memoria evocativa che dimostra come l’autore “ami le proprie radici”. Questa raccolta poetica , pur nella sua ambientazione mesta e problematica, è dunque la testimonianza lirico-figurativa di una esperienza umana che ha lasciato il segno nella vita del poeta; è la rappresentazione di una “età carica di tempo”, un’età, cioè, in cui egli ha conosciuto segmenti di sofferenza, gli amori e il dolore, gli entusiasmi, le delusioni e i sogni.
Essenziale, appare in Lorenzo Migliore, il bisogno di osservare ed abitare le cose, di addentrarsi, con la semplicità del fanciullo, nelle “forme del quotidiano”, direbbe Giulio Ferroni. E così il suo percorso poetico si connota come partecipazione alla vita e ai colori del mondo e diventa un “paesaggio interiore ed esteriore” ove troviamo “Le onde del mare”, “le cavalle purosangue”, “Zolle di terra sollevate”, “la fede in Dio”, “le guerre, / l’ecatombe nei mari /la fame dei bambini,/ le epidemie del mondo/”, i giuochi a cavalluccio”, “i riflessi delle nuvole”, “Le civiltà più genuine /dell’Europa disunita/, “L’arte del discutere / della democrazia possibile”, “L’angoscia dei pensieri”, le “estasi del sentimento”, “le vibrazioni del cuore”, le “lacrime segrete”, “il sogno infinito della vita” , il bisogno di godere del riposo dopo un lungo cammino: “ma ròranavanti / mi vogghiu puru arrìpusari”.
Ecco, a questo mondo Migliore si accosta con la sua genuinità spontanea, quasi con il bisogno forte ed appassionato di cantare la bellezza delle vita nelle sue variopinte dimensioni.
Il poeta vede se stesso, la sua storia, i suoi affetti, i suoi amori e le sue esperienze interamente immersi in questo universo, ove egli si percepisce quasi come “personaggio-protagonista” che cerca di ricucire , mediante l’itinerario lirico, i fili e le immagini della sua memoria.
La poesia delle “Odi perdute” è dunque un atto di amore verso la vita, è lo specchio sul quale Lorenzo Migliore vede scorrere frammenti della sua vicenda personale, con la consapevolezza di presentarsi ai suoi lettori non con pretese poetico-letterarie, ma per quello che è e con un linguaggio parlato, di quotidianità spicciola e di tenera semplicità, dando così “spazio e forma” a quel desiderio di comunicazione che, riverberando dentro di lui, lo ha spinto a rinunciare ad essere – direbbe il filosofo Leibniz – una monade, e ad aprirsi invece alla storia, riportando sulle pagine di questo libro quel microcosmo interiore ancora vivo e capace di “alimentare di speranze / il sogno infinito della vita”.