Nella nostra società l’invidia fa molti danni. E’ un vizio che ha la suaradice nella superbia e che ne genera altri a catena, come l’odio, la rabbia e il rancore. Ma cos’è precisamente l’invidia? Il termine, dal punto di vista etimologico, indica una negatività: dal latino “invidere”, significa proprio gettare il malocchio, guardare qualcuno con ostilità.
Se per il Dizionario della lingua italiana si tratta di un “sentimento di cruccio astioso per la felicità, la fortuna, il benessere altrui”, per il cristianesimo è, però, qualcosa di più, è un “correre dietro al vento”, è un vivere la vita con una forte mancanza di pace e con una distruttiva amarezza interiore che può provocare persino delle malattie, tant’è che il libro del Qoelet (4,4) afferma: “Ho anche visto che ogni fatica e ogni buona riuscita nel lavoro provocano invidia dell’uno contro l’altro. Anche questo è vanità, un correre dietro al vento”.
Capita a volte che nelle relazioni sociali, nei rapporti con gli altri, nei vari ambienti della società: dalla politica alla cultura, dallo sport allo spettacolo, dal volontariato all’associazionismo, dal giornalismo al sindacato, dal commercio all’enogastronomia, da una città ad un’altra, da una parrocchia all’altra, la persona invidiosa, fomentata dalla gelosia, finisce per commettere atrocità, anche se non ha nulla da accusare alla sua vittima. L’invidia, in tal modo, non solo rovina la vita di coloro che hanno questa cattiva inclinazione, ma, quando prende piede, porta distruzione ovunque.
Ma come agisce e reagisce la persona avvolta dall’ invidia? La Bibbia ci offre molti esempi. Si legga, ad esempio, la reazione di Caino contro suo fratello Abele, che portò all’omicidio. Si pensi alla reazione dei fratelli di Giuseppe che “…portando invidia a Giuseppe, lo vendettero, perché fosse condotto in Egitto”. Si noti anche l’invidia di Haman nei confronti di Mardocheo che lo portò alla morte: “Così Haman fu appiccato alla forca ch’egli aveva preparata per Mardocheo” (Ester 7,10). Quanti, purtroppo, anche nella società e nelle sue articolazioni politiche, culturali, istituzionali e aggregative come Haman sono impiccati alla “forca” dell’invidia, che loro stessi hanno preparato per qualcun’altro!
Nel Nuovo Testamento l’invidia non può coesistere con la vita di chi fa professione di fede cristiana, se egli è divenuto uomo nuovo in Cristo. Così infatti si esprime San Paolo: “…un tempo eravamo insensati, ribelli, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella cattiveria e nell’invidia, odiosi e odiandoci a vicenda.” Nessun credente, dunque, può fare esperienza di vera vita cristiana e di libertà dello spirito se non permette al Dio di Gesù Cristo di estirpare dal suo cuore le radici dell’invidia amara.
L’ invidia ha sicuramente una particolare forma di espressione anche nella gelosia. Capita che una persona possa trovarsi a vivere una totale frustrazione del proprio io e che si senta inferiore rispetto a un altro e, pertanto, non si rassegna a questa sensazione o verità.
Chi entra in questo tunnel, sarà sempre vittima dell’ invidia e vedrà sempre il successo e il consenso dell’altro come un attentato alla sua identità, per cui anziché preoccuparsi di acquisire le abilità e le eccellenze altrui, egli si studia di attaccarle, di criticarle, di sminuirle.
L’invidioso è, infatti, una persona che vive sempre nell’insicurezza, che teme di non essere riconosciuto e apprezzato per quel che fa e che, pertanto, rimedia a questa fragilità e debolezza aggredendo. E difatti, nella nostra società liquida, relativista e poggiata sulla convinzione che “si esiste se si appare”, l’invidia è un subdolo veleno capace di danneggiare le relazioni fino al punto di desiderare che la persona oggetto di invidia venga umiliata e subisca il tracollo, la disfatta e il fallimento.
Esiste, pertanto, un rapporto di continuità tra l’ invidia e il pettegolezzo, quello che oggi viene chiamato gossip e che sembra essere un vera industria di lavoro e di piacere nella quale albergano malelingue, illazioni e sguardi di cattiveria.
Mi viene da pensare , riguardo agli sguardi, a Dante Alighieri, quando nel Purgatorio incontra appunto le anime degli invidiosi; esse appaiono proprio con le palpebre cucite, quasi a dimostrare che il malocchio si trasmetteva attraverso lo sguardo.
Per concludere, credo siano illuminanti le parole di Papa Francesco che, in una sua omelia diceva: “Invidia e pettegolezzi distruggono le comunità …. l’invidia, capace di distruggere una famiglia, è seminata dal diavolo nel cuore degli uomini”.
Forse un modo per sfuggire alla tentazione dell’invidia, è quello di trasformare l’invidia in pregio, nel senso che occorrerebbe “vivere e guardare l’altro” non come persona da distruggere ma come persona di cui saper oggettivamente apprezzare le qualità e capacità, stimare le doti e i carismi quando questi sono utilizzati per il bene comune e della collettività. In altri termini, dovremmo anche riflettere su quella che potremmo chiamare “invidia positiva”, intesa come stimolo e sollecitazione a saper emulare la persona oggetto delle invidie distruttive.