Il quotidiano Rtm on line dà spazio, come ben sanno i nostri lettori, alla possibilità di commentare notizie. In parecchi ci hanno fatto rilevare e altresì lamentato che solo pochi firmano i loro commenti, mentre la maggior parte si nasconde dietro l’anonimato. Questa scelta di non firmarsi viene giudicata da alcuni offensiva, da altri come una sorta di viltà, di paura, di qualunquismo, da altri ancora come una possibilità data ad alcuni di “fare la parte da leoni anche ai conigli”, come scrive Gianbattista Ballarò nello spazio di riflessione che il nostro giornale gli offre con una cadenza quasi quotidiana.
Condividiamo gran parte della riflessione di Ballarò, ma è tuttavia opportuno allargare ancora un po’ l’orizzonte per cercare di capire la scelta dell’anonimato nel commento della notizia.
Partiamo da una domanda: perché una persona sceglie di nascondere la propria identità? I motivi, è vero, possono essere la paura, la viltà, il qualunquismo, la possibilità di essere ricattato e tutto quel che si vuole, ma c’è anche una componente che non va elusa: “la pregiudizialità antecedente. Cosa voglio dire! E’ innegabile un fatto: quando una persona esprime un giudizio, una critica, e si firma apertamente , può accadere che per il solo fatto che esprime una critica diventa “aprioristicamente” persona inaccettabile: non conta “quel” che dice, sia esso giusto o sbagliato, né “come” lo dice: c’è il rifiuto ancora prima di leggere quel che è stato scritto. Il ricorso allo pseudonimo potrebbe allora avere anche una valenza di protezione della propria sfera privata e inserirsi nel contesto di un equilibrio tra il pensiero e le conseguenze del pensiero. La protezione potrebbe servire a tutelare la propria dignità intellettuale, perché c’è sempre chi , in buona o mala fede, travisa quel che si scrive. E lo può fare anche prendendo solo una parola, una frase che risponde alla giustificazione del suo pregiudizio. Facciamo un esempio: ad una persona che esce dal carcere e che ha, giustamente, scontato la sua pena, l’opinione pubblica, in modo pregiudiziale, dice sempre: tu sei stato un delinquente! Se questa persona scrive in un blog e per tutelarsi e per sottrarsi a questa pregiudizialità antecedente, decide, ad esempio, di non rivelarsi apertamente, si avrebbe il coraggio di dire che è un vile, un pavido, un coniglio? Forse la sua scelta di dire ciò che pensa in modo anonimo risponde al suo bisogno di protezione, più che alla mancanza di coraggio delle proprie idee.
Si pensi a chi vuole entrare nell’agone politico. Se uno si schiera , questo già costituisce aprioristicamente un problema: se era considerata da tutti una persona perbene, nel momento in cui si schiera e a secondo di come si schiera politicamente perde improvvisamente la sua credibilità. Se questa persona perbene, che non vuole essere oggetto di giudizio aprioristico, decide di nascondersi in un pseudonimo, può ritenersi condannabile? La questione dell’anonimato è polivalente, per cui credo che meriti di essere vista a largo raggio.
C’è chi, infatti, nel fare un commento ad una notizia ricorre all’anonimato per avere le mani libere nell’insultare e nell’offendere, e così facendo non c’è dubbio che è una persona che non ha rispetto né per la propria dignità né per quella altrui. Chiaramente è sempre libera di poterlo fare, ma è un gesto indecoroso e inaccettabile. E qui sorge una domanda: quando un commento è offensivo? Costituisce un insulto? Quando insulta l’intelligenza, l’educazione, la morale, la personalità, l’etnia , l’orientamento sessuale, la disabilità etc.. Se tutti i commenti alle notizie che pubblichiamo sul nostro quotidiano on line non fossero passate al vaglio dal moderatore, ci sarebbe, in alcuni casi, da inorridire, perché tante persone non conoscono il limite tra la libertà del pensiero e l’insulto. Se chi commenta, invece, si ispira al “principio del rispetto” in base al quale non perde di vista la dignità della persona,anche quando questa dica, a suo avviso, cose assurde e contrarie alle sue opinioni politiche; se si ispira altresì al “principio dell’onestà intellettuale”per cui, pur non rinunciando al proprio punto di osservazione, ammette che la verità non sta mai solo da una parte e che solo quando si ammette la verità che è nell’altro anche la propria potrà essere accettata; se, infine, si ispira al principio della centralità dell’argomento”, per cui nei commenti non va fuori tema dimostrando di essere fedele allo scritto che legge e commenta evitando di estrapolare parole, credo non ci sia motivo di ricorrere allo pseudonimo. Invito pertanto i nostri lettori a valutare queste osservazioni e se non ci sono motivi reali per cui bisogna fare la scelta dell’anonimato, di firmare con serenità e pacatezza i propri commenti. Vale il detto evangelico: è la verità che rende liberi!
L’OSSERVAZIONDAL BASSO di…… DIRETTORE. A PROPOSITO DI COMMENTI FIRMATI CON PSEUDONIMO
- Ottobre 7, 2010
- 12:07 am
Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su email
Email
Condividi su print
Stampa